Signoraggio, fiscal drag e imposta di inflazione

Trovo molto interessante il libro Macroeconomia di Boitani, tanto da citarne alcune pagine a riguardo di alcuni temi che spesso si sentono rete.

“La creazione di moneta può rappresentare una via d’uscita “facile”: Lo Stato riceve dalla Banca Centrale moneta, sulla quale non paga interessi e con essa finanzia la sua spesa in disavanzo.
 La facoltà riservata allo Stato di “battere moneta” consente allo Stato di goderne i vantaggi.
Tali vantaggi vengono riassunti con il termine signoraggio; infatti si tratta di vantaggi che un tempo erano riservati al “signore”, depositario del potere di batter moneta.
Il signoraggio è misurato dal prodotto tra il valore reale della quantità di moneta in circolazione (M/P) per il tasso di crescita della quantità di moneta ($\displaystyle \widehat{M}$ ):

\[S=\widehat{M}\cdot \frac{M}{P}\]

Ma la crescita della quantità di moneta provoca inflazione. Se il tasso di inflazione è esattamente uguale al tasso di crescita della quantità di moneta, il signoraggio coincide con una vera e propria imposta da inflazione.
Quest’ultima  è infatti definibile come la riduzione del valore della moneta esistente a causa dell’inflazione:

\[T_{\pi }=\pi \cdot \frac{M}{P}\]

L’imposta di inflazione consente, come ogni altra imposta, di sottrarre potere d’acquisto ai cittadini, consegnandolo allo Stato.
Un esempio aiuta a chiarire la questione. Si supponga che i cittadini europei detengano 100 miliardi di moneta e che il livello dei prezzi iniziale sia P = 1.
La Banca Centrale decide di far crescere la quantità di moneta del 30%, portandola a 130 miliardi per consegnarla allo Stato. Secondo l’equazione quantitativa, ciò provocherà nel lungo periodo un tasso di inflazione del 30%. Il valore reale (cioè il potere di acquisto) della moneta detenuta dal pubblico (100 miliardi di euro) sarà sceso da 100 a 77 (infatti 100/1,3 » 77). 

​Grazie al signoraggio, lo Stato è riuscito ad incassare un’imposta da inflazione parti a 30 miliardi (Tp = 0,30 130/1,3). Tuttavia a causa dell’inflazione, il potere di acquisto reale aggiuntivo che lo Stato si è regalato è pari solo a 23 miliardi. Infatti, i 130 miliardi di euro in circolazione avranno ora il potere d’acquisto che prima dell’aumento della quantità di moneta avevano 100 miliardi; 77 miliardi “reali” sono rimasti in mano ai consumatori, mentre la differenza (100 – 77 = 23) va allo Stato.
L’imposta di inflazione è rilevante quando l’inflazione è elevata e perciò è importante negli episodi di iperinflazione. Il gettito di tale imposta è infatti tanto più elevato quanto più alto è il tasso di inflazione. Per avere una idea del rilievo di tale imposta si consideri che il prelievo fiscale complessivo annuo, in Italia, si aggira oggi intorno al 43% del PIL. Si supponga che il rapporto tra moneta emessa dalla Banca Centrale e PIL nominale sia pari al 10% e che il PIL reale sia costante. Un aumento della quantità nominale di moneta del  3% provocherà un aumento del livello generale dei prezzi del 3%.
​Quale sarà il gettito dell’imposta da inflazione, in rapporto al PIL? La risposta è: uno striminzito 0,3%, ottenibile dalla seguente formula:

\[\frac{T_{\pi }}{Y}=\pi \cdot \frac{M}{PY}=0,03\cdot 0,10=0,003\]

 Appare chiaro allora che, a bassi tassi di inflazione, il gettito dell’imposta da inflazione è molto basso rispetto a qualsiasi variazione del prelievo fiscale ordinario. Ma con un’inflazione del 30%, il gettito sarebbe pari al 3% del PIL: una quota che comincia ad essere non trascurabile e che può rendere invitante per il governo ricorrere a tale imposta.”
Dal libro “Macroeconomia” di Andrea Boitani, Editore IL Mulino